Introduzione alla lingua giapponese: kanji

Ciao a tutti, e ben ritrovati a Pillole di Giappone!
Continua la nostra piccola introduzione alla lingua giapponese, soffermandoci questa volta sui kanji e la loro origine!

UN PO’ DI STORIA

Come i giapponesi rappresentavano Wani (disegno del diciannovesimo secolo).

L’origine dei kanji si può ricavare dal loro stesso nome: 漢字, dove il primo carattere indica l’antica Dinastia cinese degli Han, e il secondo significa “carattere”, “lettera”. I kanji giapponesi sono infatti derivati dagli ideogrammi cinesi, a loro volta derivati da antichi pittogrammi. Secondo la leggenda, sono stati importati in Giappone attorno al V secolo d.C. da Wani 王仁, uno studioso coreano che aveva legami con la Cina.
Dovete sapere che il giapponese era in origine una lingua solo parlata, e non aveva una sua forma scritta; con l’avvento degli scambi commerciali con la Cina, i giapponesi iniziarono ad imparare la lingua di questo popolo e quindi la scrittura degli ideogrammi, che tuttavia venivano utilizzati esclusivamente nell’ambito della lingua cinese. Solo successivamente i giapponesi iniziarono ad adattare la scrittura cinese alla lingua autoctona, non senza qualche difficoltà, arrivando al sistema di scrittura kana-kanji utilizzato ancora oggi.

Nel corso del tempo, la mole di ideogrammi ha portato alla necessità di limitare il numero di kanji “ufficiali”, in modo da facilitare sia la diffusione della lettura che l’insegnamento della lingua nelle scuole dell’obbligo. Così, nel 1981 il Ministero dell’Educazione creò il Jōyō Kanji 常用漢字 (lett. “kanji di uso comune”), una lista di caratteri da poter utilizzare nelle pubblicazioni cartacee e non; nella sua ultima revisione, conta ben 2136 caratteri.

COMPOSIZIONE

Altri esempi di radicali. I kanji rossi in angolo sono gli ideogrammi da cui i radicali sono derivati.

La maggior parte dei kanji è formata da vari elementi, che a seconda della loro posizione e composizione può dare luogo a segni diversi. Alcuni di questi elementi indica la categoria di significato del kanji; si tratta dei radicali (部首, bushu).
Uno dei radicali più importante è sicuramente il ninben (にんべん), che indica la persona e viene quindi utilizzato in kanji che hanno una qualche relazione con questo campo semantico, come ad esempio 体 karada, “corpo”. Il ninben è uno di quei radicali presente sempre nella stessa posizione, in questo caso a sinistra (vedi tabella). Esistono anche radicali che possono presentarsi in varie posizioni, come il sole 日, la donna 女, o la risaia 田. È anche interessante notare come molti radicali siano essi stessi dei kanji a sé stanti.

LETTURA
Come abbiamo già visto, inizialmente i giapponesi utilizzavano i kanji soltanto per testi in lingua cinese. Successivamente hanno adattato i caratteri cinesi alla lingua autoctona, ma ciò ha portato ad alcuni problemi di lettura: adottare quella cinese o quella giapponese?
Alla fine, il sistema di lettura dei kanji è stato diviso in due gruppi che si integrano a vicenda, ovvero 音読み onyomi e訓読み kunyomi, rispettivamente “lettura on” e “lettura kun”.
Il sistema onyomi consiste nella lettura cinese dei kanji, ovviamente adattata alla fonetica giapponese, e viene solitamente utilizzato nelle parole composte, ovverosia formate da due o più kanji (pur con le dovute eccezioni). Il kunyomi corrisponde invece alla lettura autoctona; in sostanza, si tratta di una traduzione in giapponese del kanji che viene solitamente utilizzata per la lettura dei singoli caratteri.

PERCHÈ SONO IMPORTANTI?
In passato, gli stessi giapponesi si sono chiesti se i kanji fossero così indispensabili e nel secondo dopoguerra, infatti, si prese in considerazione l’idea di dare al giapponese scritto una resa totalmente fonetica, con l’uso dei kana o addirittura dei romaji.
Tuttavia, alla fine si è deciso di continuare ad utilizzare il sistema kana-kanji principalmente per due motivi: l’eliminazione dei kanji avrebbe creato una profonda frattura culturale e avrebbe portato confusione nella comunicazione scritta; la lingua giapponese è infatti ricca di parole omofone e l’utilizzo dei kanji è di grande aiuto per evitare ambiguità.

Stiamo ormai per terminare questa parte introduttiva alla lingua giapponese, che si concluderà con un articolo dedicato alla grammatica! Prima però ci immergeremo di nuovo nella cultura, parlando di buddhismo attraverso un manga davvero particolare…Volete scoprire di cosa si tratta? Allora continuate a seguirci!

A presto,
Lilolilosa


Fonti bibliografiche:
Hatsumi Ueda e Masako Suzuki, Kanji – Lingua Giapponese 1, Cafoscarina, 2012/2013.
Aldo Tollini, Lineamenti di storia della lingua giapponese, Cafoscarina Editrice